31

La luce abbagliante si spense di colpo e il fragore si attuti fino a venire ingoiato dal silenzio della notte.

Pitt si fermò e rimase immobile, frastornato nell'incomprensione, sforzandosi di riadattare la vista all'oscurità che lo circondava. Tese l'orecchio, col capo inclinato per cogliere un eventuale rumore, ma non udì altro che l'incessante sussurrio del vento che soffiava da nord. Incominciò ad avvertire il freddo tagliente sulle mani nude e il battito violento del proprio cuore. Trascorsero due minuti buoni in cui non accadde nulla. Riprese a camminare sulla massicciata, fermandosi ogni pochi metri per scrutare il tappeto di neve che la copriva. Il biancore era intatto, tranne le impronte che si lasciava dietro. In preda a un profondo sbalordimento, continuò ad avanzare per circa un chilometro, muovendo le gambe a fatica, aspettandosi quasi, benché al tempo stesso ne dubitasse, di trovare qualche traccia dello spettro meccanico. Ma i suoi occhi non scoprirono niente. Pareva che il treno di poco prima non fosse mai passato. Inciampò in qualcosa di duro e piombò seduto su un mucchio di ghiaia accumulata dal vento. Imprecando contro la propria goffaggine, si mise a tastare intorno a sé e le sue dita toccarono due gelidi nastri paralleli di acciaio.

Dio mio, sono le rotaie!

Si alzò in piedi di scatto e riprese ad avanzare. Superata una stretta curva, scorse il chiarore azzurrognolo d'uno schermo televisivo che trapelava dalla finestra di una casa. Le rotaie, a quanto gli parve, correvano davanti al porticato della facciata. Dall'interno della costruzione udì abbaiare un cane. Subito dopo, un quadrato luminoso si proiettò sul terreno, dalla porta che qualcuno aveva aperto. Pitt restò nascosto nell'ombra. Un enorme cane da pastore, dal pelo lungo e ispido, balzò sulle traversine, annusò l'aria gelida e, evidentemente desideroso di sbrigarsi, alzò una zampa posteriore, fece quanto doveva fare e rientrò in fretta nel tepore del soggiorno riscaldato dal caminetto. La porta si richiuse.

Avvicinandosi, Pitt distinse una grande massa scura parcheggiata su un binario di raccordo. Era una locomotiva con agganciate una vettura passeggeri e una di servizio, per il personale. Si arrampicò cauto nella cabina e toccò la caldaia. Il metallo era freddo come un pezzo di ghiaccio. Si ritrovò le mani sporche di ruggine. Non era stata accesa, quindi, da chissà quanti anni. Attraversò i binari e bussò alla porta della casa. Il cane si affrettò a lanciare doverosamente una serie di rauchi latrati e, subito dopo, un uomo, avvolto in un accappatoio spiegazzato, comparve sulla soglia.

Aveva la luce alle spalle, quindi Pitt non poté distinguerne i lineamenti, ma soltanto la figura che pareva quella di un lottatore e riempiva quasi tutto il vano della porta.

«Desidera?» chiese l'omone con una voce di basso profondo.

«Mi rincresce disturbarla, ma avrei piacere di scambiare due parole con lei», rispose Pitt, con un sorriso accattivante.

In risposta ebbe dapprima una gelida occhiata, poi un cenno secco. «Va bene. Si accomodi.»

«Mi chiamo Pitt, Dirk Pitt.»

«Ansel Magee.»

Il nome non gli riuscì nuovo ma, prima che riuscisse a collocarlo nella sua memoria, Magee si girò, annunciando col suo vocione: «Annie, abbiamo visite».

La donna comparve, uscendo dalla cucina. Camminava eretta, con un portamento aggraziato. Era sottile come un grissino, l'antitesi esatta di Magee. Pitt immaginò che da giovane fosse stata un'indossatrice. Aveva i capelli brizzolati e acconciati con garbo. Indossava un aderente abito da casa, rosso, e un grembiule dello stesso colore; in mano teneva ancora lo strofinaccio dei piatti.

«Mia moglie Annie», la presentò Magee, accompagnando le parole con un gesto. «Questo è il signor Pitt.»

«Molto piacere», disse Annie, rivolgendogli un cordiale sorriso. «Credo che non le dispiacerebbe una bella tazza di caffè caldo.»

«Lo berrei volentieri», accettò Pitt. «Nero, per favore.»

La donna spalancò gli occhi. «Le sue mani sanguinano!»

Pitt se le guardò: i palmi erano coperti di abrasioni. «Mi devo essere graffiato poco fa, quando sono caduto inciampando nei binari. Non me ne sono neanche accorto, tanto sono intorpidite dal freddo.»

«Venga, si metta a sedere accanto al fuoco», disse Annie, indicandogli un divano. «Gliele medicherò io.» S'affrettò in cucina e riempì un catino di acqua calda, poi andò a cercare un disinfettante in bagno.

«Il caffè lo preparo io», dichiarò Magee, sollecito.

Il cane da pastore, immobile, fissava Pitt senza manifestargli né ostilità né amicizia. O almeno Pitt riteneva che lo fissasse, perché folti ciuffi di pelo gli coprivano gli occhi. Il soggiorno era arredato con raffinata originalità e i mobili, le lampade, i soprammobili, di linea moderna, parevano pezzi unici, disegnati da un artista di ottimo gusto. I colori dominanti erano il bianco e il rosso. La stanza pareva una galleria d'arte, calda, luminosa e accogliente, l'ideale per viverci.

L'improvvisato anfitrione rientrò, portando una tazza di caffè fumante.

Adesso, in piena luce, Pitt ne riconobbe il volto cordiale, dall'espressione maliziosamente bonaria che faceva pensare a un folletto. «Lei è Ansel Magee, il famoso scultore.»

«Temo che parecchi critici d'arte non approverebbero l'aggettivo 'famoso'.»

«Non sia troppo modesto», protestò Pitt. «Una volta, per visitare una sua mostra alla National Art Gallery di Washington, ho fatto la fila, in una coda lunga quanto tutto l'isolato.»

«È un intenditore d'arte moderna, signor Pitt?»

«Un intenditore? Non oserei definirmi nemmeno un dilettante. In realtà la mia passione sono le macchine d'antiquariato. Faccio collezione di automobili e di aeroplani d'epoca.» E questo era vero. «Inoltre, m'interesso molto anche alle vecchie locomotive.» E questa era una bugia.

«Allora abbiamo un punto in comune», affermò Magee. «Io pure sono fanatico degli scomparsi treni a vapore.» Si sporse in avanti e spense il televisore.

«Infatti, ho notato la sua linea ferroviaria personale.»

«La locomotiva è del tipo Atlantic quattro-quattro-due; fabbricata nelle officine Baldwin nel 1906. Era in servizio sulla linea Chicago-Council Bluffs nell'Iowa. Ai suoi tempi era un fenomeno di velocità», spiegò lo scultore, quasi declamando.

«Quando l'ha fatta funzionare l'ultima volta?» Pitt si accorse subito di aver toccato un tasto sgradito, dall'espressione di rammarico sul volto del suo interlocutore.

«L'avevo acquistata due estati fa, dopo aver riattato circa ottocento metri di massicciata. Portavo a spasso i vicini e i loro ragazzi sulla mia linea privata. Poi sono stato costretto a rinunciarvi, per via di un attacco di cuore. Da allora è rimasta ferma.»

Annie ricomparve e incominciò a lavargli i graffi e i tagli. «Purtroppo non ho trovato altro che un vecchio flaconcino di tintura di iodio. Brucerà da matti.»

Eppure non bruciò affatto: Pitt aveva le mani ancora troppo intirizzite.

Non disse nulla mentre la donna gliele fasciava. Quand'ebbe finito, Annie sedette, osservando la propria opera con aria critica e commentando che, se anche il suo non era un capolavoro da meritarle il titolo di infermiera dell'anno, poteva comunque andare, almeno fintante che Pitt non fosse arrivato a casa. Lui l'assicurò che non avrebbe potuto imbattersi in una samaritana migliore di lei.

Magee si mise comodo in una poltrona profonda e avvolgente che, per la forma, faceva pensare a un tulipano. «E adesso mi dica, signor Pitt. Che cosa sta cercando, in particolare?»

Pitt giudicò che non fosse il caso di tergiversare. «Sto raccogliendo dati sul Manhattan Limited.»

«Capisco», disse Magee, ma era evidente che non capiva. «Presumo che il suo interesse s'incentri non tanto sulla storia dell'intero periodo in cui fu in servizio, quanto sull'ultimo viaggio.»

«Sì», ammise Pitt. «Ci sono parecchi particolari relativi al disastro che non sono mai stati chiariti sino in fondo. Ho letto tutti i resoconti pubblicati allora nei giornali, ma ne ho ricavato molti più problemi insoluti che risposte ai miei dubbi.»

Magee gli scoccò un'occhiata sospettosa: «Lei è un giornalista?»

Pitt spiegò, con un cenno di diniego: «No, dirigo ricerche speciali per conto della National Underwater & Marine Agency».

«Quindi lavora per il governo?»

«Be', sì; è lo zio Sam che mi paga lo stipendio. Però la mia curiosità per il disastro ferroviario del ponte Deauville-Hudson è strettamente personale.»

«Curiosità? Io la chiamerei piuttosto ossessione. Che cos'altro potrebbe indurre un uomo a vagare qua in giro con questo freddo e nel cuore della notte?»

«Il fatto è che dispongo di pochissimo tempo per questa che lei chiama la mia ossessione», spiegò Pitt, senza irritarsi. «Domani mattina devo essere a Washington. Questa era la mia unica possibilità di venir a dare un'occhiata alla zona del ponte, senza contare che sono arrivato quand'era ancora giorno.»

Magee, convinto ormai di non trovarsi davanti a un giornalista, si rilassò. «Mi scusi se l'ho sottoposta a un interrogatorio, signor Pitt, ma lei è il primo estraneo capitato nel mio piccolo eremo. A parte un paio di amici selezionati e i galleristi che s'incaricano di vendere i miei lavori, il pubblico crede che io sia una sorta di originale, mezzo matto, che vive rintanato in un vecchio magazzino nella parte orientale di New York, freneticamente impegnato a fondere le sue sculture. Un artificio che ho architettato con uno scopo ben preciso. Adoro il mio isolamento. Se dovessi trovarmi quotidianamente alle prese con una caterva di rompiscatole, di critici e di giornalisti alla mia porta, non riuscirei mai a portare a termine il lavoro. Qui, nascosto nella valle dell'Hudson, posso creare senza che nessuno mi secchi.»

«Un'altra tazza di caffè?» propose Annie. Con tipica sagacia femminile aveva colto il momento opportuno per interromperlo.

«Sì, grazie», rispose Pitt.

«Le andrebbe una fetta di torta di mele appena sfornata?»

«Accetto più che volentieri. Dopo la colazione di questa mattina, non ho mangiato altro.»

«Allora le preparo un boccone per cena.»

«No, no. La torta sarà più che sufficiente.»

Non appena Annie fu uscita, Magee riprese la conversazione. «Spero che lei abbia afferrato il sottinteso, signor Pitt.»

«Ma io non ho nessun motivo di rivelare al pubblico la località del suo ritiro.»

«Non dovrei fidarmi neppure di lei.»

Col calore, le mani di Pitt avevano riacquistato la sensibilità e adesso gli facevano un male d'inferno. Annie ricomparve, con la torta, e lui vi si buttò sopra con la voracità di un affamato.

«Visto il fascino che i treni esercitano su di lei e poiché vive praticamente a due passi dal ponte crollato, si dev'essere fatto un'idea molto più precisa del disastro di quanto sia possibile ricavare dalla documentazione vecchia di sessant'anni e passa», disse tra un boccone e l'altro.

Magee contemplò il fuoco in silenzio, per un minuto buono, poi riprese a parlare, in tono distaccato. «Ha ragione, naturalmente. Ho riflettuto a lungo sugli strani incidenti che si verificarono quando il Manhattan Limited precipitò nel fiume. Incidenti che in gran parte sono radicati nelle leggende locali. Ebbi la fortuna di riuscire a intervistare Sam Harding, il capostazione di servizio la notte della sciagura, pochi mesi prima che morisse in una casa di riposo, a Germantown. Aveva ottantotto anni, ma una memoria che faceva concorrenza a una banca dati. Avrebbe dovuto sentire come rievocava ogni particolare. Mi pareva quasi di vedere gli avvenimenti di quella notte svolgersi davanti ai miei occhi.»

«Una rapina a mano armata nel momento preciso in cui il treno stava passando», intervenne Pitt. «Il rapinatore impedì all'aggredito di fare la segnalazione al macchinista e di salvare così un centinaio di vite. Sembra un romanzo.»

«Non fu un romanzo, signor Pitt. Tutto si svolse così come Harding aveva riferito alla polizia e ai giornalisti. Ne era una prova la pallottola che Hiram Meechum, il telegrafista, si era preso nella coscia.»

«Sì, conosco bene tutta la storia», confermò Pitt.

«Allora saprà anche che il rapinatore non fu mai catturato. Harding e Meechum lo identificarono senza la minima esitazione: un certo Clement Massey, 'il bandito azzimato', come lo definivano nei giornali. Una specie di damerino che aveva già a suo carico parecchi colpi messi abilmente a segno.»

«Incredibile che sia scomparso nel nulla.»

«I tempi erano diversi, prima della grande guerra che avrebbe dovuto mettere fine a tutte le guerre. La polizia allora procedeva con metodi, come dire, assai più primitivi. Massey non era uno stupido. Pochi anni di gattabuia per una rapina sono una cosa. Ma causare indirettamente la morte d'un centinaio di uomini, donne e bambini è un'altra. Sapeva benissimo che, se lo avessero catturato, la giuria non avrebbe impiegato più di cinque minuti per decidere all'unanimità a favore dell'impiccagione.»

Pitt finì di mangiare la fetta di torta e si appoggiò allo schienale del sofà.

«Lei ha qualche idea del perché il treno non fu mai ritrovato?»

Magee gli rispose con un cenno di diniego. «Presumibilmente sprofondò nelle sabbie mobili. Sommozzatori del luogo si tuffano tuttora, alla ricerca di qualche resto. Alcuni anni fa recuperarono dal fiume, un chilometro e mezzo più a valle, un vecchio faro di locomotiva. La maggior parte della gente suppose che provenisse dal Manhattan Limited. Secondo me, è soltanto questione di tempo prima che il letto del fiume si sposti e lasci il relitto allo scoperto.»

«Un altro po' di torta, signor Pitt?» chiese Annie.

«Ne sarei tentato, ma è meglio di no», rispose Pitt, alzandosi in piedi. «È ora che me ne vada. Domattina presto devo prendere un aereo al Kennedy. Vi ringrazio per l'ospitalità.»

«Prima che se ne vada, vorrei farle vedere una cosa», disse lo scultore alzandosi a sua volta e dirigendosi verso una porta al centro della parete di fondo. L'aprì su una stanza buia, vi entrò e ne uscì pochi momenti dopo, reggendo una lampada a petrolio accesa e, con un cenno, invitò Pitt a seguirlo.

L'agente della NUMA entrò; nell'ambiente a malapena rischiarato dalla fiammella vacillante che faceva guizzare le ombre, aguzzò gli occhi nel tentativo di notare i particolari. All'odore del petrolio se ne mescolavano altri, stantii, di vecchio legno e di cuoio. Non appena la vista si fu adattata alla scarsa luce, Pitt si accorse di trovarsi in un ufficio arredato all'antica dove campeggiava una stufa panciuta con un tubo lunghissimo. Riuscì a distinguere in un angolo una cassaforte: la porta era decorata dal disegno di un carro coperto dei pionieri in corsa nella prateria. Contro una parete, sotto la finestra, erano addossate due scrivanie, l'una con l'alzata avvolgibile e, sopra, un vecchio telefono a manovella, l'altra col piano a tavolo, sul quale poggiava un casellario. Sulla parte anteriore del piano, davanti a una poltroncina girevole rivestita di pelle nera, si trovava un manipolatore Morse, da cui partivano fili piegati ad angolo, che scomparivano nel soffitto. Alle pareti erano appesi un orologio, un manifesto che magnificava gli spettacoli d'un teatrino ambulante, l'immagine di una prosperosa ragazza che reggeva un vassoio di bottiglie di birra della premiata marca Ruppert, 94' Strada, New York City, e un calendario omaggio della Compagnia di assicurazioni Feeney & Company, datato maggio 1914.

«L'ufficio di Sam Harding», annunciò, con una punta d'orgoglio nella voce, Magee. «L'ho ricostruito tale quale era la notte della rapina a mano armata.»

«Allora la sua casa...»

«Era la stazione di Wacketshire», confermò lo scultore. «L'agricoltore dal quale l'ho acquistata se ne serviva come deposito del foraggio per i suoi bovini. Annie e io l'abbiamo restaurata e trasformata. Peccato che lei non l'abbia potuta vedere di giorno. Ha un'architettura tipica, che risale più o meno agli anni '80 del secolo scorso, con elaborate rifiniture tutt'intorno, sotto la sporgenza del tetto, a volute aggraziate.»

«Una magnifica idea, la sua, di conservare una costruzione del tardo Ottocento», lo complimentò Pitt.

«Sì, ha avuto una sorte migliore di molte altre piccole stazioni di quegli anni», riconobbe Magee. «Abbiamo apportato pochi cambiamenti. Quello che era il deposito bagagli adesso è la nostra stanza da letto e la vecchia sala d'aspetto è diventata il soggiorno.»

«Gli arredi sono quelli originali?» chiese Pitt, toccando il manipolatore Morse.

«In gran parte sì. La scrivania di Harding era già qui quando abbiamo comperato l'edificio. La stufa l'abbiamo recuperata in mezzo a un mucchio di rottami e Annie ha avuto la fortuna di scovare la cassaforte nel magazzino di un robivecchi a Selkirk. Ma il pezzo numero uno è questo.»

Magee sollevò una copertina di camoscio che serviva da riparo contro la polvere: sotto c'era una scacchiera, con i pezzi in ebano e betulla scolpiti a mano, screpolati e un po' corrosi dagli anni. «Apparteneva a Hiram Meechum», spiegò Magee. «L'ho ottenuta dalla sua vedova. Il foro prodotto dalla pistola di Massey non è mai stato riparato.»

Pitt la osservò qualche momento, in silenzio. Poi rivolse gli occhi verso il rettangolo buio della finestra.

«Si riesce quasi ad avvertire la presenza dei tre uomini.»

«Non di rado mi siedo qui dentro, tutto solo, e tento di ricostruire visivamente quella tragica notte», confessò lo scultore.

«Le succede di vedere il Manhattan Limited mentre sfreccia fuori, sferragliando?»

«A volte», rispose Magee, in tono sognante. «Se l'immaginazione si scatena...» S'interruppe e lanciò all'ospite un'occhiata sospettosa. «Una domanda bizzarra, la sua. Perché me lo chiede?»

«Il treno fantasma... Dicono che corra ancora, la notte, lungo la vecchia massicciata.»

«La valle dell'Hudson è un vivaio di leggende», ribatté Magee, beffardo.

«Alcuni giurano addirittura d'aver visto galoppare un cavaliere senza testa. Una storia incomincia come una favola e finisce col diventare una diceria. Col tempo, abbellita e gonfiata dal folclore locale, si perpetua come leggenda che esula dal limite estremo della realtà. Quella del treno fantasma ebbe inizio pochi anni dopo il crollo del ponte. I creduloni sono pronti a giurare che, come lo spettro del ghigliottinato non riacquisterà pace finché non avrà ritrovato la propria testa, così il Manhattan Limited non entrerà nel grande deposito del cielo se non dopo essere riuscito a passare di là dal fiume.»

Pitt rise. «Signor Magee, lei è uno scettico a prova di bomba!»

«Può ben dirlo.»

L'agente diede un'occhiata all'orologio. «Adesso devo proprio andarmene.»

Lo scultore lo accompagnò all'aperto e i due uomini si strinsero la mano sulla vecchia banchina della stazione.

«È stata una serata piacevolissima», disse Pitt. «Non so come ringraziare lei e sua moglie dell'ospitalità.»

«Il piacere è stato tutto nostro. Ritorni presto a farci visita. Mi piace parlare di treni.»

Pitt esitò, incerto. «C'è una cosa che farebbe bene a tenere a mente.»

«Sarebbe a dire?»

«Una cosa strana che riguarda le leggende», continuò Pitt, fissando l'altro. «Di solito nascono da una verità.»

Alla luce riflessa che usciva dalla casa, il volto di Magee appariva grave e pensoso, ma niente di più. Poi l'uomo scrollò le spalle con indifferenza, senza ribattere, e chiuse la porta.

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